L’IDENTIKIT DELL’INDIFFERENZA

Una domenica meravigliosa a Venezia, cominciata tra gli anfratti della placida Giudecca, per approdare alla spoglia spiaggia del Lido, a contemplare il cielo che si tuffava nel mare e le onde che tendevano alla volta celeste.

Dopo il tramonto ci trovavamo a percorrere Strada Nova per raggiungere la stazione dei treni. Le luci delle insegne ammiccavano ai passanti, certe d’irretirne qualcuno. Salendo su uno dei tanti ponticelli che costellano Venezia, assistiamo alle proteste di una signora di mezza età, appena scippata da un ragazzo il quale oltre a darsela a gambe col bottino, spinge a terra la malcapitata, che si trova accasciata sul ponte. Il marito inizia ad inseguire il ladro, mio marito Paolo corre con lui urlando ai passanti di fermare il ragazzo con lo zaino blu, io mi accodo facendo eco all’allarme. Il farabutto era un vero e proprio uomo-anguilla: è riuscito a seminare tutti a velocità della luce, scivolando comodamente tra l’indifferenza generale. Ad un certo punto, esausti, ci siamo fermati ed un ristoratore che attendeva gli avventori fuori dal suo locale, ci ha informati che da qualche giorno gli stessi tre farabutti si aggirano per Strada Nova. La polizia e la Guardia di Finanza li hanno già fermati, quindi facendo denuncia dovrebbero riuscire a riconoscerli. Nel frattempo il marito della vittima se ne va e ci raggiunge una ragazza che sta telefonando alla polizia perché ha visto la signora a terra sul ponte. Ripercorrendo la strada verso la stazione a circa una ventina di minuti dall’accaduto, mi ritrovo davanti l’uomo-anguilla e commento a voce alta: “Areo qua!”, “Eccolo qua!” in veneto. Lui non fa una piega e continua imperterrito la sua marcia a viso scoperto. Stavolta non corre, ma cammina con passo da maratoneta e tiene lo zaino blu davanti, quasi volesse mimetizzarsi scimmiottando una forma di autotutela contro gli scippi. Io e Paolo ci mettiamo a seguirlo, sta tornando verso il ponte dove aveva rapinato la signora. Passando davanti alla trattoria chiedo conferma al ristoratore di aver visto giusto, lui si slaccia il grembiule e viene con noi, raccomandandomi di stare lontana dall’uomo-anguilla per non incorrere in qualche aggressione. Paolo intanto è al telefono con la polizia, ma anche stavolta lo smilzo è riuscito a svignarsela a velocità della luce. Incrociamo i poliziotti a caccia del farabutto qualche minuto dopo e forniamo ulteriori dettagli su quanto visto. Dopo aver tentato il possibile, ci incamminiamo amareggiati verso la stazione.

Se un passante su quattro avesse risposto all’allarme: “Fermate il ragazzo con lo zaino blu!”, probabilmente la polizia non avrebbe dovuto cercarlo. Il passaparola avrebbe  coinvolto una serie di persone nella ricerca del farabutto e lui non se ne sarebbe andato in giro a viso scoperto, con l’insolenza di chi non ha nulla da perdere. La polizia ci ha comunicato che le vittime non hanno sporto denuncia. Perché? Forse la situazione della signora e lo choc li hanno paralizzati o forse non nutrivano nessuna speranza che una denuncia potesse risolvere qualcosa.

L’ingiustizia attecchisce e fa marcire un tessuto sociale dove l’indifferenza cresce come gramigna. Credo ci sia una sostanziale differenza tra non intraprendere nessuna azione di denuncia di un’ingiustizia ed il farlo: nel primo caso si avvalla il sopruso, nel secondo caso si apre uno spiraglio per una soluzione o un cambiamento. Denunciando si definisce quanto si è subito o visto subire e si inizia ad uscire dalla condizione di vittima. Denunciando si informa il resto del mondo e si incoraggiano altre persone a farlo. Denunciare è dialogare con la società in cui viviamo e coltivare un terreno in cui la gramigna non può attecchire.

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